Quando si parla di ruolo paterno non sempre si ha chiaro il peso e la centralità della funzione.
Spinti da continue sollecitazioni della vita quotidiana, tra impegni e problemi, spesso siamo portati a dare valore a quegli aspetti che ci permettono di risolvere più facilmente le empasse quotidiane e perdiamo il senso delle azioni stesse e del nostro affaccendarci nel tentativo di far quadrare i progetti e la nostra quotidianità.
E’ intento di questo articolo descrivere la centralità del ruolo del padre ripercorrendo le varie fasi evolutive dei figli ed insieme riflettere sulle conseguenze di una cattiva gestione del progetto genitoriale a seguito di una separazione coniugale e delle relative conseguenze sia per i figli ma anche per la figura genitoriale che è costretta ad allontanarsi, in genere il padre.
Il ruolo della figura materna è stato più volte delineato e sembra avere certezze ed essere maggiormente ancorato ad una cultura condivisa legata a dinamiche di accudimento, affettive e di sostegno, di scambi emotivi e comunicativi ritenuti validi da tutti, soprattutto nei primi mesi di vita, come rilevanti ai fini di una sana crescita fisica e psicologica del bambino.
Il figura paterna, invece viaggia sempre un po’ meno attrezzata dal punto di vista del ri-conoscimento condiviso del suo ruolo e arranca nel trovare il suo spazio sia all’interno della propria famiglia che soprattutto nei riguardi di se stesso.
Ri-conoscere significa andare a ripescare all’interno della propria conoscenza diretta e transgenerazionale ciò che di fatto ovvio non è.
Se escludiamo processi di filiazione legati alla adozione, che seguono per forza di cose un percorso psicologico diverso, di fatto il padre partecipa alla nascita del figlio in modo indiretto in quanto il tutto avviene al di fuori di lui, la gravidanza, il parto, addirittura la conoscenza dello stato gravidico e la comunicazione dell’evento sono “poteri” gestiti dalla mamma che decide come e quando condividerli con il proprio partner. Il ruolo della mamma è centrale nei primi mesi di vita, quello del padre risulta apparentemente secondario. Il padre “assiste” alla gravidanza, Constata che le attenzioni emotive della compagna sono ora rivolte prevalentemente al piccolo dentro di lei, un’altra presenza e, dopo il parto, l’uomo ancora si troverà “spettatore” di questa nuova coppia madre e figlio. L’accoglimentodel bimbonel grembo materno, l’allattamento, fanno del padre una figura in secondo piano, alla quale si racconta, si riferisce l’agito del piccolo e i suoi progressi.
Andiamo però a cercare il “senso” di questa secondarietà.
Non è un caso infatti che proprio questo “sguardo esterno” assume per la coppia madre-figlio adesso nei primi mesi ma anche successivamente, un ruolo più che centrale per la costruzione della storia. E’ un ruolo di riferimento al “raccontami” e di contenimento riguardo alle ansie e alle incertezze. Uno sguardo esterno che, proprio perché meno coinvolto e con-fuso nella coppia, può interpretare e restituire contenuti puliti e funzionali alla narrazione della storia stessa.
Quella paternità vissuta come secondaria di fronte ad un piccolo con il quale non possiamo “dialogare” nello stesso modo e con gli stessi strumenti che possiede la mamma, viene ora sentita nel pieno della sua funzionalità allorquando sia la mamma che il piccolo lo sentono come l’altro che si interpone tra di loro e si intromette nella loro intimità e darà nel tempo la serenità all’una e la possibilità all’altro di favorire il distacco dalla fusione dell’unione primordiale.
Questo “altro” sarà colui al quale il piccolo si rivolgerà per abbandonare il collo della mamma ed è rappresentativo di tutti gli “altri” con cui il piccolo dovrà nel tempo confrontarsi.
E’ lui il padre insieme con la mamma che accoglie il “senso” del nuovo nato con stupore, con meraviglia perché biologicamente appartiene alla coppia ma non lo ri-conosciamo in quanto comunque diverso, fonte di gioie ma anche di preoccupazioni e di paure. Oltre alla vita forniamo al piccolo anche un buon motivo per vivere. Ed è un gioco continuo e circolare tra ascolto, ritorno, apprendimento e cambiamento. Il padre rappresenta la possibilità di farsi ascoltare, di creare per lui ed insieme con lui il “racconto” della vita del piccolo che insieme con la mamma hanno iniziato un cammino simbiotico. Sarà il padre che sosterrà il cambiamento, che favorirà il distacco e con esso la crescita il senso di sé , l’identitàdel bimboche imparerà senza troppa paura ed insicurezza ad uscire ma anche a tornare verso la mamma.
L’equilibrio nella coppia e la relazione sana con il piccolo verrà favorita proprio dalla figura paterna che, perché esterna, sarà in grado di stimolare e riportare a regime la storia coniugale insieme alla nuova avventura genitoriale.
Nella prima fase della relazione madre-bambino (primi mesi di vita) non esiste conflitto, il padre è ancora per il neonato una figura periferica della quale di lui si racconta. Dal punto di vista del piccolo c’è ancora assenza di angoscia, non c’è deprivazione e le “regole” sono marginali.
Nei confronti della mamma invece la presenza o meglio la “funzione” paterna agisce quale riduttore di ansie, facilitatore di separazione del nucleo simbiotico madre-figlio e, successivamente riequilibratore del rapporto coniugale.
Via via che la personalità del bambino si va formando ed il suo Io diventa più saldo acquista significato la “forza” della coppia coniugale e genitoriale che si impone rispetto al figlio come una determinante salda di regole, principi e contenuti affettivi da una parte e dall’altra come un modello di coppia coiniugale che si ama reciprocamente e che separatamente amano il figlio in modo diverso.
La frustrazione del sentirsi escluso dalla coppia coniugale, ancorché amato, obbliga il figlio ad elaborare e risolvere la propria solitudine al di fuori della coppia genitoriale.
Nel processo evolutivo del figlio il padre deve essere in grado ora di proseguire nella sua funzione di limite e di contenimento in modo deciso e netto ma pur tuttavia mantenendo un livello di vicinanza adeguato tale da far sentire la passione della funzione e l’affetto che la caratterizza.
Bisogna che il padre lavori adeguatamente con il figlio al fine di raggiungere un confronto leale di scambio che li leghi in un patto intergenerazionale.
C’è bisogno di vigore, ascolto, certezze ma anche di umiltà e soprattutto vicinanza e comunicazione.
Nel confronto padre-figlio, si svilupperà, nella adolescenza, una sana conflittualità che, sempre il padre, avrà la funzione di interrompere quando sentirà che non ci sarà motivo per mantenerla.
Possiamo ben comprendere, ora, quanto la decisione della coppia coniugale di separarsi possa minare l’esercizio della “funzione” paterna nei confronti dei figli.
Diversi i fattori che influenzano l’esito delle separazione sia nei confronti della salute dei figli che del coniuge che si allontana da casa che è “costretto” a rinunciare alla continuità familiare.
Questi nel tempo si distacca perché in difficoltà rispetto alla frequentazione del figlio e alla partecipazione alla sua educazione . Parliamo di difficoltà legate sia ad aspetti logistici ma anche di natura conflittuale con l’ex coniuge.
La separazione è un evento traumatico che si presenta a fronte di un ostacolo ed una resistenza al cambiamento. L’impossibilità della famiglia di mantenere un equilibrio in armonia con i naturali e continui cambiamenti dovuti alla “evoluzione” dei rapporti e alla crescita delle relazioni impone una rottura ed un arresto di crescita.
Questa “Involuzione” porta insieme con sé anche la perdita del “contenitore” famiglia, casa, amici scuola.
Viene ad essere a rischio la “funzione” genitoriale come prima delineata e quindi nei suoi aspetti di freno simbiotico, di separazione e crescita attraverso la rappresentazione dei limiti e delle regole.
Si rinforza invece l’aspetto affettivo-simbiotico della funzione materna che mette a rischio il processo di individuazione-separazione del figlio.
D’altra parte assistiamo ad un livello di angoscia di notevole portata soprattutto da parte dei figli, nei più piccoli vissuto con sensi di colpa come fossero la causa della separazione dei suoi genitori, nei più grandi con rabbia. Tra i 3 e i 5 anni e tra i 12 e i 14, periodi di “individuazione”, i rischi sono maggiori. Gli adolescenti, invece, reagiscono meglio ma l’angoscia è rivolta alla preoccupazione per il loro futuro. A livello sociale l’adolescente sarà più aggressivo.
Queste evidenze ci fanno riflettere e forse comprendere meglio la logica degli affidi condivisi che se pure da un lato di difficile gestione dall’altra sposano, almeno negli intenti, gli interessi dei figli ai quali viene assicurata la funzione genitoriale tutta, materna e paterna , con i diritti e i doveri dei due genitoriladdove il genitore accogliente non si senta “solo” a fronte delle dinamiche di crescita e delle responsabilità da prendere e il genitore “uscente” non si ritrovi alienato dalla sua funzione e dalla sua identità.
Di fatto però il tutto funziona se la coppia genitoriale, non più coniugale, riconosce queste responsabilità e faccia di tutto per rispettare i propri figli e quindi i loro diritti ad un sano sviluppo psicofisico e riconosca nell’ex partner un elemento importante della genitorialità stessa da mantenere costantemente e quotidianamente unito nella funzione genitoriale.
Questo visione ideale spesso è interrotta da problematiche conflittuali non risolte della coppia coniugale (rancore, odio, pregiudizi familiari e personali, rabbia, gelosia ecc) che impediscono una elaborazione sana del percorso genitoriale.
In questi casi sarebbe auspicabile un percorso di mediazione familiare che intervenga proprio nel dirimere queste conflittualità residue e decontamini il terreno genitoriale da quello coniugale e personale.
Dr.ssa Daniela Benedetto
http://benessere.guidone.it/2010/09/24/limportanza-della-figura-paterna-ce-ne-parla-la-dott-ssa-daniela-benedetto/
Bibliografia:
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Salluzzo M.A. (2004 a) Psicopatologia nella separazione, divorzio e affidamento, Attualità in Psicologia, Volume 19, n. 3/4