Primi rapporti affettivi/emotivi e cognitivi del neonato
Per poter parlare del ruolo materno affrontiamo cosa succede nel bambino che nasce, concetti relativi al neonato nei primi momenti di vita.
Non c’è dubbio che la storia dei bambini nasce dal concepimento biologico. C’è una memoria corporea inscritta nel corpo che guiderà il bambino nelle successive interazioni. Ma è anche vero che il nostro cervello ha una sua capacità plastica di adattarsi nella struttura e nelle funzioni ai cambiamenti esterni e pertanto il bambino deprivato potrà beneficiare di figure alternative sempreché le stesse siano in grado di riattivare un sano processo di crescita.
La mamma trasmette anche lo stato mentale ed emotivo alla nascita, il bambino viene travolto alla nascita da una valanga di sensazioni destrutturanti (il bambino non ha gli strumenti per leggere la realtà né la capacità istintiva e biologica di adattamento all’ambiente) e “ritrova” nel rapporto simbiotico con la mamma quella continuità necessaria, ambientale, mentale ed affettiva che gli serve come contenitore. La relazione con la mamma o di un caregiver restituirà al bambino una immagine positiva ed integrata di sé favorendo il passaggio da esperienze sensoriali a contenuti mentali.
Il senso di integrità e sicurezza interiore del neonato dipende dalla capacità della mamma di creare una simbiosi, un contenimento, un equilibrio che va sostenuto da un processo della stessa madre di rielaborazione del suo rapporto genitoriale (madre interna) e della sua bambina interna.
La sperimentazione da parte del bambino della “mancanza”, della assenza e della separazione, permette al bambino di fare un passo verso la crescita e l’individuazione. La separazione e l’assenza dalla madre attiva nel bambino funzioni mnemoniche di pensiero. Se il rapporto primario risulta sufficientemente positivo, il bambino svilupperà fiducia e tollererà le frustrazioni, procrastinerà le soddisfazioni del bisogno.
La conferma, poi, del suo ritorno (madre) rinforzerà la fiducia.
Il bambino adottato
Il ruolo materno tra genitorialità naturale e genitorialità adottiva
Veniamo ora a degli elementi più specifici dell’adozione.
Nella disamina di questo scritto vengono prese in considerazione le caratteristiche proprie del maggior numero delle coppie adottive che si trovano nella necessità di adottare perché non hanno possibilità di generare biologicamente.
Cosa succede se nei primi 3 o 4 anni sopravviene l’abbandono?
Se il bambino non può sperimentare la continuità e l’integrità è costretto ad affrontare il conflitto tra il desiderio di crescita, il distacco, l’autonomia e la paura di perdere la protezione. La paura di confrontarsi con il vuoto, con l’insicurezza, lo porteranno a conformarsi all’ambiente esterno costringendolo a rinunciare alla percezione dei propri sentimenti e dei propri bisogni nonchè al proprio sé portandolo ad adattarsi al contesto come un piccolo adulto (precoce) nel tentativo di contenere l’ansia.
Noi sappiamo che il contenimento dell’esperienza emotiva costituisce la base affettiva del pensiero. Il recupero di questa pensabilità nel bambino traumatizzato permette di far fronte al vuoto, all’ansia. Pertanto compito della madre è di accudire, sostenere, contenere, dare senso e significato alle emozioni del neonato di fronte alle mancanze, guidarlo alla elaborazione della “distanza” e del “lutto” per favorirne la crescita.
Le separazioni a cui deve far fronte il bambino adottato sono, infatti, sia dalla madre biologica ma anche dall’istituto. Parliamo per questo di “seconda nascita”.
Assistiamo pertanto, con la seconda separazione, al rinforzo di quei meccanismi difensivi quali la scissione, la negazione, l’identificazione con l’aggressore. Un ripetersi, insomma, delle fasi precedenti nel tentativo del bambino di ripercorrere gli aspetti feriti per risanarli attraverso la relazione con i suoi genitori adottivi.
Accogliere un bambino con una ferita grave come l’abbandono significa accogliere il diverso che è dentro di noi, rinunciare a riportare e ricondurre ogni fenomeno al pensabile, a schemi predefiniti ma invece ripercorrere i nostri vissuti, la nostra storia passata, i nostri limiti, i bisogni e le paure, ritrovarli dentro di noi accogliendo, insieme, anche le paure del bambino. Attraverso il ri-trovare contatto e rispecchiamento nella relazione con i suoi genitori adottivi, il bambino adottato sentirà il sostegno contenitivo e trasformativo dell’adulto in grado di aiutarlo a contenere e ri-parare attraverso un sentimento di vicinanza e pensabilità del proprio dolore.
Caratteristiche emotive e difensive del bambino adottato
Il bambino adottato non ha ricevuto sostegno. Non è stato accompagnato ad esplorare, non ha fatto una esperienza di allontanamento basato su certezze di ri-trovare la mamma; è un bambino frustrato, insicuro, sfiduciato, “perso” che non regge la frustrazione del limite se non scindendo, negando o identificandosi con l’aggressore. Rabbia, tristezza, sentimento di inadeguatezza e di impotenza, queste le espressioni emotive più frequenti in risposta al trauma dell’abbandono e della perdita.
Assistiamo pertanto a comportamenti difensivi che il nostro IO mette a disposizione per sostenere l’equilibrio psico-fisico e permetterci di “superare” le empasse del momento e pertanto di sopravvivere!
Questi i più frequenti:
Autodondolamento: riflette la mancanza di un abbraccio contenitivo per lenire quegli stati d’animo legati a ricordi di momenti dolorosi e penosi.
Ipereccitabilità motoria, la difficoltà a stare dentro i confini non sperimentati e di rispettare le regole. Di fatto questi bambini non sono stati contenuti e pensati.
Pseudoautonomia riflette il bisogno di negare l’assenza dell’altro e di tenere distante la propria sofferenza.
L’incapacità di piangere per una contusione quale espressione della sfiducia di trovare qualcuno che si prenda cura di lui e quindi di dover soffrire ulteriormente per riprovare il dolore della perdita.
Difficoltà di attenzione e apprendimento: Antiche angosce persecutorie impediscono la formazione di uno spazio interno in cui introiettare la conoscenza e l’apprendimento. Apprendere significa accettare un proprio limite ma questo li riporterebbe in contatto con l’angoscia di non sapere sostenere il limite. E’ una angoscia di frammentazione.
Imparare, apprendere significa accettare il proprio limite di non sapere.
Per questi bambini è frustrante, è oggetto di ansia e vuoto, la percezione di ri-trovarsi nel mondo del passato.
Calore, affetto e protezione queste le chiavi per entrare in contatto con lui.
L’importanza delle proprie origini
Per il bambino adottato risulta subito evidente la necessità di ricostruire la storia all’interno della famiglia adottiva rimarcando un prima e un dopo, ricercando attraverso la ricostruzione dei fatti, per come sono andati e per come sono pensati, l’origine della propria storia ed attribuirne un senso ed una coerenza nei quali trovare le proprie radici.
E’ ormai nota l’importanza di condividere con il figlio adottivo la sua storia e le sue origini.
Il momento non può essere delegato alle domande del figlio in quanto non faremmo altro che lasciare “solo” il bambino con una memoria affettiva ed una ferita che lui già conosce al di là dell’età in cui è stato adottato.
Ma non ci si aspetta neanche una descrizione didattica degli eventi.
E’ rilevante esserci nella relazione e soprattutto emotivamente vicini nel “sentire” insieme con il bambino la necessità di un percorso di conoscenza storica delle origini che lo aiuti a ripercorre la strada sicuro di essere sostenuto e sorretto. Questo percorso potrà essere svolto solo allorquando i genitori siano in grado di affrontare e condividere nell’intimità familiare i “segreti” legati alla mancanza della procreazione biologica facendo fronte ad eventuali sentimenti di inadeguatezza e vergogna nei confronti dello stesso bambino.
Il bambino a sua volta sarà in grado di accettare ed elaborare la sua “mancanza” e cioè l’essere stato abbandonato.
Come parlare ai nostri figli adottati della loro madre biologica
La madre biologica a mio avviso non va né svalutata né mitizzata.
Di base utilizziamo il concetto della mamma di pancia che però ad un certo punto si è resa conto che non era in grado di sostenere la maternità e soprattutto la genitorialità.
Anche questo aspetto diventa per i genitori una occasione per dare continuità alla storia del bambino insistendo e spiegando la differenza tra capacità emotiva e capacità materna.
Infatti l’ una non implica necessariamente l’altra.
A seconda dell’età è evidente che si introducono nuovi elementi
Dott.ssa Daniela Benedetto